“Chi vuole sul serio qualcosa trova una strada, gli altri una scusa.” Proverbio africano
Nel diritto, il termine alibi, dal latino altrove, sta ad indicare la prova di non colpevolezza o non responsabilità rispetto ad un fatto o presunto reato, proprio per l’assenza dell’accusato nel luogo e nel periodo di tempo indicato.
Per estensione, il termine viene utilizzato per descrivere una scusa o un pretesto rispetto ad un evento, in grado di scagionare la persona rispetto ad una diretta responsabilità in merito.
Ma cosa c’entrano gli alibi nel nostro quotidiano, in che modo influenzano i nostri percorsi, le nostre scelte?
A tutti noi è capitato, di fronte ad un insuccesso o ad una difficoltà professionale, di relazione, di sport, di studio, di attribuire il risultato all’esterno dalla nostra sfera di influenza (troppo difficile, ha cominciato lui/lei, le condizioni non erano favorevoli, il professore ce l’ha con me…) scagionandoci, così, rispetto all’esito negativo che non è più attribuibile ad una nostra colpa, ma ad un concorso di ragioni al di fuori di noi, rispetto alle quali “non possiamo farci niente”. Frasi come “se dipendesse da me..”, “sono/è fatto così…”, “non c’è niente da fare…”, “è tutta questione di fortuna…”, sono solo alcune tra quelle che utilizziamo e rendono conto dell’attivazione dell’alibi.
Alla base di questa modalità di leggere ed interpretare tali situazioni ci sono in genere due elementi:
- la sensazione di non poter esercitare un controllo sugli eventi (locus of control esterno),
- il modo con cui ci spieghiamo ciò che accade come incontrovertibile, non modificabile sulla base di caratteristiche o capacità personali (stile esplicativo).
E allora? Non è vero che le situazioni esterne ci condizionano e possono influenzare i risultati che otteniamo? Che non dipende sempre da noi quello che otteniamo? Ovviamente è impossibile pensare che possiamo avere il controllo totale delle situazioni e di ciò che accade, ma l’atteggiamento con cui ci confrontiamo rispetto ad esse, determina quello che potremo ottenere.
Quando la domanda interna, spesso inconsapevole, che ci poniamo rispetto all’insuccesso è “A chi posso dare la colpa?”, otteniamo sicuramente un vantaggio, che è quello di alleggerirci del peso della responsabilità e della presa in carico di scelte, decisioni, azioni volte a modificare la situazione, perché focalizziamo l’attenzione sugli ostacoli, anziché sulle possibilità che le situazioni ci concedono. Come a dire: “se non dipende da me, sono legittimato a non agire per cambiare la situazione”. Se il problema è altrove, posso lamentarmene, diffondere il profondo senso di ingiustizia, criticare gli altri e allo stesso tempo, scagionarmi… Ma quale costo?
Il principio di economia cognitiva (la tendenza fisiologica di ciascuno di noi ad ottimizzare l’utilizzo delle proprie risorse cognitive attraverso alcuni meccanismi di semplificazione e selezione delle variabili di contesto) sembrerebbe supportare la scelta dell’alibi, consentendoci di risparmiare energia. Se aggiungiamo poi il significato emotivo che spesso è collegato alla presa in carico del problema, ecco che internamente una voce sembra dirci “non ce la posso fare” anzi “ma chi me lo fa fare?” e sul piatto della bilancia il vantaggio che ottengo col lamento è nettamente superiore, nella mia percezione, a quello dell’attivarmi, di investire tempo ed energia per modificare l’evento.
Ma la strategia dell’alibi funziona finché il peso non si sposta dall’altra parte e diventa per noi insostenibile quello della situazione negativa… è proprio in questo momento, nel momento della crisi, che si nasconde lo spazio dell’opportunità per il cambiamento di prospettiva, di decisione, di azione e di miglioramento!
Eh sì, perché l’alibi pur nella sua componente rassicurante, ci depotenzia, impedendoci di migliorare, di crescere, di misurarci con la sfida che ogni situazione ci presenta. La crisi, ci pone invece di fronte alla necessità del cambiamento e dell’evoluzione.
Quando la domanda diventa: “Che cosa posso fare di più o di diverso, o smettere di fare, perché questa situazione cambi?”, anzi ancor meglio “…per cambiare questa situazione” (a volte nelle parole che usiamo si nasconde già l’alibi e cambiare alcune abitudini linguistiche può restituirci il senso del nostro potere) allora ci diamo la possibilità di confrontarci con una risposta sorprendente che apre a nuove prospettive, perché la risposta solo raramente (molto raramente) è: “nulla”.
Questo tipo di domanda, dunque, ci costringe a considerare la possibilità di aumentare le nostre probabilità di successo NONOSTANTE le difficoltà, gestendo i gradi di libertà che esse ci lasciano, partendo dalla consapevolezza che esse esistono, dal loro riconoscimento e dall’individuazione della nostra sfera di influenza in merito. L’esito di successo è certo? No, ma è sicuramente più probabile e mi consente di agire per modificare lo stato insoddisfacente delle cose che accadono, oltre che restituirmi il potere di influire e la soddisfazione ad esso collegata.
Per usare un paradosso: “è stato dimostrato che tutti quelli che hanno vinto un premio alla lotteria Italia avevano acquistato almeno un biglietto”. Cosa significa? Che se acquisto un biglietto vinco di sicuro? Che la fortuna non c’entra? No, significa che anche in una situazione dove la “fortuna”, il “caso” giocano un ruolo determinante, abbiamo un margine personale di possibile influenza sulle probabilità di ottenere il risultato sperato. Sta a noi decidere se vale o non vale la pena, giocarcelo.
L’azione guidata dalla convinzione anticipata di “come andrà a finire”, cioè la cosiddetta Profezia che si auto-avvera, stimola quei comportamenti che più di altri hanno la probabilità di creare l’evento atteso sia al negativo che al positivo. Per cui, il primo passaggio riguarda proprio questo punto: cosa voglio e quanto lo voglio veramente? E quanto credo di poterlo realizzare? C’entro qualcosa anch’io con i risultati che ottengo? E se la risposta a quest’ultima domanda è “sì”, superata la dissonanza iniziale, se cambiare l’esito di una situazione critica è qualcosa a cui tengo, da questo momento in poi ho la concreta possibilità di “attrezzarmi” e di impegnarmi in tal senso.
Tale consapevolezza è il punto di partenza per aumentare le probabilità di successo. Quali sono gli aspetti che possono aiutarci? Tutti possono spiegare perché non sono riusciti a fare una cosa, pochi riescono a farla lo stesso. Cosa serve? Occorre vincere… vincere cosa?
Innanzitutto occorre permettere a noi stessi di vincere, con la consapevolezza ed il superamento di una visione personale limitante che sposta all’esterno tutti i problemi e quindi tutto il potere.
Riappropriarsi di quel potere per poi vincere contro le difficoltà esterne a noi. Abituarsi a confrontarsi con le condizioni più difficoltose e non con quelle ideali ci prepara ad affrontare e superare gli eventi sfavorevoli in modo tale che, se sarò preparato al peggio, nei casi migliori, i risultati saranno eccellenti! Apprendere dall’esperienza è la chiave del continuo percorso di miglioramento personale. Di fronte ad una difficoltà, è necessario cambiare strategia, ipotizzare soluzioni differenti, perché quello che funziona quando le condizioni sono favorevoli, non può funzionare al variare delle condizioni. Una strada che percorro tutti i giorni per raggiungere il mio posto di lavoro, perché è la più breve, la più veloce, quella che conosco meglio, non può essere la migliore se è bloccata per un incidente. Essere preparati nelle alternative, ci fa essere pronti a rispondere al variare delle condizioni. Se conosco solo quella strada, ne rimarrò vittima.
Infine vincere contro gli avversari, che significa misurarci con la qualità delle nostre prestazioni e con quella degli altri. Questo aspetto chiama in causa la capacità di individuare fra tutti gli elementi da migliorare quelli che sono decisivi per il successo. Imparare dagli altri, confrontarsi coi migliori, capire perché lo sono diventati, ricercare la qualità delle nostre prestazioni, per raggiungere non la perfezione (idea perdente, per il semplice fatto che non è possibile raggiungerla), ma il miglioramento concreto, misurabile e compatibile sui 2-3 aspetti che abbiamo riconosciuto come strategici. Confrontarci con avversari sfidanti è la chiave del miglioramento continuo delle nostre prestazioni. Perché in fondo, vincere facile non è poi così entusiasmante!
A noi la scelta…ma questo è solo l’inizio!
Enrica Piermattei, psicologa del lavoro e delle organizzazioni specializzata in formazione comportamentale, valutazione e consulenza organizzativa ed individuale, sviluppo delle risorse personali e professionali.
E’ amministratrice e partner dello studio Elidea, dove è stato messo a punto il programma Le Stanze del sé, che, grazie ad una rete di esperti e metodiche personalizzate, promuove lo sviluppo di ogni persona, fornendo un sistema di riequilibrio delle proprie risorse fisiche, psicologiche e sociali e offrendo strumenti che consentono di affrontare i propri disagi e sviluppare le proprie potenzialità.
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